Nel precedente articolo ci eravamo lasciati con alcuni interrogativi, ovvero che validità può avere uno studio finanziato dalla stessa azienda che mette in commercio i prodotti che vengono testati? E quale peso possono avere questi studi nel processo di approvazione degli agrofarmaci in Europa?

Ora proveremo a rispondere a questi ed altri quesiti che mi sono venuti in mente mentre approfondivo l’argomento. Come spesso accade, anche in questo caso non si tratta di situazioni nettamente giuste o sbagliate, ma di argomenti complessi sotto molti punti di vista.

 

IL CONFLITTO DI INTERESSI NELLA SCIENZA:

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La scienza è fatta da persone e non può essere infallibile. Quando qualcosa non quadra, la comunità scientifica non nasconde la polvere sotto al tappeto ma si mobilita per correggere gli errori e progredire nel percorso di conoscenza.     

 

Un interessante articolo pubblicato su The Intercept mette in risalto come da un lato alcuni scienziati abbiano tenuto una condotta poco trasparente e dall’altro come le aziende dell’agrofarmaco abbiano in alcuni casi fatto pressione per favorire l’approvazione o il rinnovo di quest’ultima per la messa sul mercato di alcuni loro prodotti.

In contrapposizione mi sono imbattuto in quest’altro articolo pubblicato sull’American Bee Journal scritto dalla ricercatrice canadese Alison McAfee, la quale sostiene sia sbagliato pensare che tutti i ricercatori i cui studi vengono finanziati dalle aziende dell’agrofarmaco siano dei mercenari.

Per molti ricercatori infatti questi finanziamenti sono indispensabili e permettono loro di lavorare a progetti concreti senza doversi trovare ad avere costantemente problemi di liquidità.

La parte spinosa emerge però quando queste ricerche si rivelano a favore dell’azienda finanziatrice: in questi casi gli scienziati vengono immediatamente etichettati come venduti ed i loro studi sono spesso etichettati come “carta straccia”.

E’ fuori dubbio che in tutto questo ci siano conflitti d’interessi più o meno velati che andrebbero in qualche modo risolti. E dal canto loro alcuni scienziati, come emerge dall’inchiesta giornalistica di The Intercept, non si sforzano molto nell’allontanare i sospetti. Alcuni di questi infatti hanno ricevuto rimborsi spese piuttosto cospicui ed in certi casi sono finiti direttamente a lavorare per le stesse aziende che hanno finanziato la pubblicazione degli studi “incriminati”.

Al tempo stesso è scorretto però fare di tutta l’erba un fascio; ad esempio in questo studio inglese sui residui dei neonicotinoidi nel miele dopo la moratoria in Unione Europea gli autori dichiarano di aver ricevuto fondi per la realizzazione dei loro precedenti studi da parte di Bayer e Syngenta. Lo studio in questione non depone affatto a favore delle due aziende, si conclude infatti che:

Nonostante le concentrazioni di neonicotinoidi fossero basse (<2.0 ng g-1), e non determinino alcun rischio per la salute umana, esse potrebbero rappresentare un rischio continuativo per le api mellifere attraverso un’esposizione cronica a lungo termine.

Quindi la ricerca finanziata dalle industrie è sempre compromessa? Sicuramente no, però è chiaro che muovendosi sul filo del rasoio gli scienziati debbano quantomeno dimostrare un forte senso etico nel portare avanti questi studi, non soltanto a parole ma anche nei fatti.

Da fruitori non dimentichiamoci però che siamo tutelati dal fatto che ogni possibile conflitto viene sempre dichiarato esplicitamente, e che molto spesso le aziende non possono influenzare in alcun modo i risultati, tantomeno bloccare la pubblicazione di risultati a loro sconvenienti. E’ giusto quindi guardare a questi studi con un occhio più critico, mentre è scorretto escluderli a prescindere.

Se lo studio è stato portato avanti su grossi campioni, con la corretta metodologia ed i corretti controlli, e non si pone in netto contrasto con il resto delle pubblicazioni scientifiche in merito, è molto probabile che si tratti di uno studio valido.

 

NON SOLO CONFLITTO D’INTERESSI:

Il potenziale conflitto di interessi non è l’unica problematica relativa all’autorizzazione degli agrofarmaci, anzi ce ne sono di ben più importanti a ben vedere.

Quando si portano avanti studi sulla tossicità, lo scopo ultimo degli scienziati è quello di isolare delle variabili: se vogliamo capire quale sia l’effetto dei Clothianidin sulle api dobbiamo eliminare più variabili possibile dalle nostre misurazioni, e poi esporre le api a uno o più dosaggi di Clothianidin. In questo modo possiamo aspettarci di comprendere quali effetti abbia il Clothianidin senza l’interferenza di altre variabili.

In aggiunta, per avere un ulteriore metro di giudizio occorre predisporre un valido campione di controllo che ci permette (come dice la parola stessa) di controllare con più chiarezza l’effetto della variabile sulla quale andiamo ad operare.

Ma in un ambiente nel quale vengono immesse (o sono già presenti) centinaia di sostanze di sintesi e non, patogeni, ed altri fattori a noi sconosciuti nei quali le api stesse inevitabilmente si imbattono, i ricercatori lavorano nel tentativo di isolare l’effetto di un singolo insetticida. Sembra molto più facile cercare il proverbiale ago nel pagliaio.

Le api dal canto loro ci mettono del suo e rendono del tutto vano il tentativo degli scienziati di avere la situazione sotto controllo. Lo fanno volando ben oltre i limiti del campo nel quale gli scienziati vorrebbero confinarle.

 

VERSO NUOVI METODI:

Nel paper pubblicato quest’anno da Fabio Sgolastra et al. (2020) (che consiglio di leggere) si prendono in esame nel dettaglio le problematiche relative all’approvazione degli agrofarmaci, e trovo sia giusto parlarne perché si tratta di un processo che personalmente non conoscevo e che contiene al suo interno alcune pratiche piuttosto paradossali.

Dunque, come vengono approvati gli agrofarmaci in Europa?

Prima di essere autorizzati, gli agrofarmaci devono essere sottoposti ad un processo di valutazione del rischio (detto risk assessment). Questo serve ad essere certi che le sostanze messe in commercio non siano responsabili di rischi inaccettabili per l’ambiente.

I protocolli per la valutazione del rischio oggi rappresentano sostanzialmente un compromesso fra efficienza di costi (per l’azienda che vuole far approvare un nuovo agrofarmaco) e capacità di individuare problematiche per le api.

Il protocollo attuale (EPPO, 2010) non è affatto esente da problematiche, in quanto non permette di individuare i cosiddetti effetti sub-letali. Gli effetti sub-letali per intenderci sono quegli effetti deleteri di vario tipo (biologici, fisiologici, comportamentali, o di popolazione) che non uccidono l’ape ma che diminuiscono le sue capacità in maniera più o meno grave.

 

LE FASI DEL PROTOCOLLO DI APPROVAZIONE:

  • FASE 1: Valutazione in laboratorio basata sul livello di tossicità LD50 (lethal dose 50), ovvero quanta sostanza occorre per uccidere metà del campione di api utilizzato nel test. Prodotti che mostrano livelli significativi di potenziale tossicità a livello ambientale vengono quindi sottoposti:
  • FASE 2: A studi in semi-campo
  • FASE 3: A studi in campo aperto

Ecco, il problema sostanziale è che i prodotti che non mostrano una consistente mortalità nella fase 1 del test per l’approvazione, non vengono poi testati per gli step 2 e 3.

step protocolli di approvazione agrofarmaci

In più gli effetti sub-letali, ed in particolare gli effetti comportamentali, sono molto difficili da individuare, sia in condizioni di semi-campo che in campo aperto utilizzando le api mellifere.

Queste risultano infatti molto stressate quando vengono mantenute in situazioni di confinamento: la deposizione delle uova diminuisce, e le operaie iniziano a dedicarsi alla termoregolazione piuttosto che dedicarsi alla raccolta delle risorse. Questi comportamenti al di fuori della norma (uniti alla piccola area dedicata al bottinamento) potrebbero rendere inattendibili i dati ottenuti. L’utilizzo di colonie di dimensioni più piccole rispetto al normale non permette inoltre di estrapolare dati rapportabili a quelli di colonie “normali” nel pieno della loro attività.

Anche se in campo aperto ci si riesce ad avvicinare ad una situazione più realistica, le api bottinatrici per via delle loro abitudini generaliste potrebbero non visitare affatto il campo coltivato nel quale è stato effettuato il trattamento. In questo modo si va incontro a quella che viene chiamata “cross-contamination” ovvero una contaminazione incrociata fra gli alveari trattati e quelli di controllo.

Per questo motivo gli studi progettati a questo modo sono afflitti intrinsecamente da un basso valore statistico, spesso anche perché hanno una durata troppo breve, specialmente se messi in relazione al periodo di crescita di una colonia di api mellifere.

 

CONSIDERARE LE VIE DI ESPOSIZIONE:

Oggi sappiamo che negli studi di tossicità è molto importante valutare il rischio anche in base alle varie vie di esposizione. Mi spiego meglio: l’esposizione che proviene dalla polvere generata durante la semina di sementi conciate con neonicotinoidi ha un effetto di tossicità diverso rispetto all’ingestione dell’acqua che trasuda dalle foglie (gocce di guttazione) nelle piante trattate. In particolare le vie di esposizione da considerare sono:

  • Contatto diretto
  • Contatto indiretto
  • Ingestione

Queste vie di esposizione nell’attuale valutazione del rischio vengono ignorate poiché nel momento in cui questi neonicotinoidi furono registrati gli schemi di valutazione del rischio richiedevano soltanto dei test relativi alla loro applicazione sotto forma di spray.

Le nostre conoscenze sono progredite, ma gli agrofarmaci non vengono risottoposti ad un vaglio più accurato in quanto l’approvazione ha generalmente una durata molto lunga (10 anni ed oltre).

Un’altra criticità è relativa al fatto che si testa soltanto un singolo pesticida. Questo non rappresenta affatto la realtà dei nostri campi coltivati, nei quali spesso polline e nettare risultano contaminati da un vasto assortimento di prodotti più o meno combinati, in grado di innescare effetti cumulativi e/o sinergici.

 

EFFETTI SINERGICI E SCARSA RAPPRESENTATIVITA’:

Se ad esempio abbiamo una sostanza A con tossicità 1 ed una sostanza B con tossicità 1, non è detto che la loro associazione presenti una tossicità di A+B, cioè 2.

In caso di effetto sinergico la tossicità potrebbe arrivare 5, 10 o anche molto di più.

I neonicotinoidi sembrano essere particolarmente pericolosi se usati in associazione con alcuni tipi di fungicidi. Alcuni particolari fungicidi vanno infatti a danneggiare il sistema responsabile della detossificazione delle api, rendendole molto più suscettibili all’effetto dei neonicotinoidi.

In ultimo, le attuali valutazioni del rischio tengono conto di una singola specie, Apis mellifera, anche se oggi sappiamo che specie differenti posseggono diverse sensibilità nei confronti dei pesticidi.

Le poche informazioni preliminari che abbiamo sugli altri apoidei sembrano però indicare che siano più sensibili ai neonicotinoidi rispetto all’ape mellifera, per vari motivi.

Le famiglie di api mellifere, in quanto molto popolose, sono in grado entro certi limiti di sopperire a perdite consistenti di api operaie (la cosiddetta resilienza di colonia).

Al contrario le api solitarie ed in parte anche i bombi che affrontano una fase solitaria nel periodo primaverile, patiscono maggiormente questi effetti a livello individuale.

Considerando che un’ape solitaria vive pochi giorni, ed in quei pochi giorni deve accoppiarsi, nidificare, raccogliere cibo e deporre le uova, va da sè che qualsiasi sostanza nociva in grado di abbassare la sua longevità sia molto deleteria per la sua capacità di produrre prole. Dinamiche come questa sono in grado di determinare una consistente diminuzione delle popolazioni di api solitarie.

Forse è per questo motivo che gli studi su coltivazioni trattate con neonicotinoidi hanno mostrato un trend negativo di popolazione per api solitarie e bombi, ma non sempre per le api mellifere.

Alla luce di queste informazioni, è appropriato utilizzare soltanto le api mellifere per la valutazione del rischio come surrogato delle oltre 20.000 specie di api (che sono per la maggior parte solitarie)? Oppure vogliamo veramente tutelare la biodiversità della quale si parla tanto?

Nello studio pubblicato da Sgolastra et al., dal quale ho attinto molte informazioni per la realizzazione di questo articolo, si suggerisce un diverso approccio alla valutazione del rischio, che vorrei riassumere qui a seguito.

 

COSA FARE, IN SINTESI:

infografica linee guida agrofarmaci

Nel dettaglio: 

  • Le procedure di valutazione devono tener conto della dimensione spaziale e temporale dell’esposizione, includendo la mortalità a distanza di tempo e il potenziale effetto cumulativo da esposizione cronica.
  • Bisogna tenere conto della co-ocorrenza di composti multipli che possono interagire fra loro e fra altri agenti di stress. Nonostante sia pura utopia testare tutte le potenziali combinazioni, sarebbe già qualcosa poter testare le sostanze più comunemente utilizzate in concomitanza in ambito agricolo.
  • E’ necessario testare non soltanto gli ingredienti attivi, ma anche i coformulanti utilizzati per aumentare l’efficienza di questi pesticidi. Per esempio, l’ingrediente attivo dell’erbicida Roundup (il glifosate) è stato giustamente classificato come innocuo sia nei confronti degli organismi non-target che per la salute umana al momento della sua registrazione. Tuttavia i co-formulanti utilizzati nel prodotto Roundup si sono rivelati tossici per le rane (Mann and Bidwell, 1999) e hanno mostrato effetti carcinogenici sulle cellule umane (Defarge et al. 2018).
  • Urge progettare nuovi test mirati all’individuazione di effetti sub-letali ed effetti a lungo termine. Questi test devono essere effettuati già nella fase 1 di valutazione del rischio, perché sostanze che non mostrano effetti letali in fase 1 potrebbero comunque causare effetti sub-letali. Per questo dovrebbero essere in ogni caso oggetto di test nella fase 2 e 3. La fecondità delle famiglie ad esempio, uno dei parametri cardine nella valutazione del rischio per i vertebrati, può essere valutata soltanto in condizioni di campo e di semi-campo per quanto riguarda le api.
  • Bisognerebbe includere altre api oltre alle mellifere: gli attuali protocolli di valutazione del rischio non coprono certe vie di esposizione molto critiche per altre api (basti pensare alla contaminazione del suolo e agli effetti che questo può causare alle api che nidificano nel terreno). Aggiungere per esempio l’utilizzo di un’ape solitaria come l’Osmia nei test di campo e semi-campo potrebbe semplificare ulteriormente l’individuazione di eventuali effetti nocivi, come ad esempio una ridotta capacità riproduttiva.
  • Gli studi condotti per supportare la registrazione di questi pesticidi dovrebbero essere di pubblico dominio: questo permetterebbe una valutazione indipendente ed imparaziale, oltre a promuovere una maggior trasparenza nelle procedure di valutazione del rischio. Attualmente queste informazioni restano protette dal “segreto aziendale” anche quando questi studi non determinerebbero svantaggi competitivi per l’azienda.
  • In ultimo, l’approvazione dei pesticidi non dovrebbe essere una tantum. Servirebbero dei monitoraggi post-registrazione per controllare la correttezza delle deduzioni espresse nelle prime valutazioni del rischio, o per individuare eventuali effetti negativi che potrebbero manifestarsi soltanto quando un prodotto viene utilizzato su larga scala. Al momento i pesticidi vengono rivalutati ogni 10-15 anni.

Insomma, di strada da fare ce n’è ancora molta e sebbene non credo esista una cospirazione a livello mondiale, ci sono certamente grandi interessi in gioco da parte di tutti gli attori: apicoltori, agricoltori, aziende dall’agrofarmaco e governi. Ed è proprio su questi ultimi che i cittadini possono esercitare il loro potere, utilizzando gli strumenti che la democrazia ci mette a disposizione.

 

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Luca


 

Fonti: