Sul New York times è uscito qualche giorno fa un articolo che parla di come a Berlino oggi ci siano troppi alveari. Ma come TROPPI alveari?

Si parla così spesso della scomparsa delle api, di quanto siano in difficoltà, di come potremmo aiutarle, ed ora ci vengono a dire che di alveari ce ne sono troppi?

Se le api potessero parlare non direbbero forse che ci sono troppi umani? 

Scusate, Gigi Marzullo si era impossessato della tastiera.

 

IL PROBLEMA DI FONDO

Prima di tutto, quando si parla del declino delle api, in realtà ci si riferisce non tanto alle api da miele, bensì alle quasi 20.000 specie di api selvatiche esistenti. 

Molte di queste probabilmente non le avrete mai sentite nominare. 

Ciò non toglie che queste api siano a rischio di estinzione a livello globale.

Perché ne sappiamo così poco? 

Per rispondere a questa domanda non occorrono tanti sforzi. Ne sappiamo poco perché semplicemente non si tratta di specie di particolare interesse economico.

In Europa vengono investiti milioni di euro (giustamente, per carità) nella ricerca per la salvaguardia delle api mellifere, ma in confronto poco o niente viene fatto per comprendere a fondo quali siano i meccanismi che governano il declino degli impollinatori selvatici.

Ne sanno qualcosa quelli che, come me, cercano di trovare testi validi per l’identificazione e lo studio degli impollinatori selvatici. C’è davvero poco e niente sul mercato.

È piuttosto triste se pensiamo che andando avanti così, queste specie sono destinate a scomparire nel quasi totale anonimato.

 

L’ARTICOLO DEL NEW YORK TIMES

Nell’articolo del New York Times si parla dello strano meccanismo che si è innescato nella popolazione, e del quale abbiamo parlato anche anche noi QUI

Mi riferisco al fatto che a volte cercando di fare del bene, in totale buona fede, si finisce involontariamente con il complicare le cose. 

La causa di questo è una scarsa (o troppo superficiale) conoscenza del problema. 

Le preoccupazioni che si sono diffuse in merito alle api da miele di riflesso hanno fatto da traino nell’aumentare la consapevolezza della popolazione sul pericolo che corrono anche gli impollinatori selvatici. 

Ora però è giunto il momento di fare qualche sforzo comunicativo in più.

 

LA SITUAZIONE A BERLINO

In città come Berlino (ma lo stesso vale anche per altre grandi città tedesche) grazie alla crescente popolarità dell’apicoltura urbana, ci si è trovati in una situazione in cui ci sono troppi alveari.

Stiamo parlando di circa 13 alveari registrati per Km2, oltre ad un numero imprecisato di alveari non registrati, secondo il presidente dell’associazione apicoltori locale, Benedikt Polaczek.

alveari berlino api

Gli alveari registrati a Berlino sono quattro volte tanto quelli registrati in media in Germania.

 

Per fare un paragone, nel resto della Germania la media è di circa 4 alveari per Km2, e a Brandeburgo, lo stato che circonda Berlino, il numero scende a meno di 2 alveari per Km2.

Ne sanno qualcosa i circa 30 apicoltori specializzati nel recupero degli sciami che operano a Berlino. Nell’articolo si riportano le parole di uno di questi, Alfred Krajewski:

È la moda del momento, le persone mettono un alveare da qualche parte sul balcone pensando di fare qualcosa di positivo per la natura.

Molti aspiranti apicoltori vedono la gestione di alveari come un hobby piuttosto semplice, quando in realtà non posseggono né il tempo, né le competenze per farlo.

 

Se le campagne messe in piedi per chiedere alla popolazione di proteggere le api mellifere sembra abbiano avuto un discreto successo, è fondamentale ora non concentrarsi esclusivamente su quel particolare insetto, perché può essere non solo fuorviante ma anche controproducente.

 

IL TROPPO “STROPPIA”

Jonas Geldmann, un ricercatore dell’Università di Cambridge è piuttosto critico nei confronti dell’apicoltura. Secondo Geldmann l’ape mellifera è una specie che (almeno in Europa), è estinta come specie selvatica.

E’ come una mucca o un pollo, una specie che viene gestita dall’uomo”.

Per dovere di cronaca pare che le cose non stiano proprio a questo modo, e ne ho parlato proprio in questo articolo .

Tuttavia Geldmann solleva alcuni interrogativi sui quali vale la pena soffermarsi. 

In uno dei suoi articoli in particolare, pubblicato su Science  “Conserving honey bees does not help wildlife” , Geldmann individua diverse criticità legate alla diffusione delle api mellifere, che forse possono aiutarci a capire il problema. 

 

CRITICITA’

  • Le iniziative per la tutela degli impollinatori non hanno fatto distinzione fra le api mellifere (che possono essere gestite dall’uomo) e le migliaia di specie di impollinatori selvatici. Questo ha creato molta confusione nell’opinione pubblica che spingendo sulla diffusione delle api mellifere crede di poter rimedio al problema.
  • La concentrazione di grandi numeri di alveari in zone dove gli impollinatori selvatici hanno già difficoltà a sopravvivere può aggravare il problema, aumentando la competizione su fonti di cibo già scarse in partenza.
  • Le api da miele possono trasmettere malattie agli impollinatori selvatici semplicemente contaminando il fiori su cui si posano per raccogliere nettare e polline. Mentre le api da miele se ben gestite possono essere mantenute salute, nulla può essere fatto per gli impollinatori selvatici.
  • Le api da miele possono minacciare la sopravvivenza di altre specie non impollinatrici, entrando ad esempio in competizione nell’occupazione delle migliori cavità nelle quali nidificare. 

 

IL “CANARINO IN MINIERA”

Ciò nonostante Geldmann non mette affatto in dubbio l’utilità delle api da miele, anche perché i fattori che danneggiano le api da miele (come ad esempio i neonicotinoidi, i parassiti, e le malattie) danneggiano anche gli impollinatori selvatici

Per cui il ruolo di bioindicatore delle le api da miele (ovvero un ruolo simile a quello del “canarino in miniera”) può essere di grande aiuto per chi si occupa della conservazione degli impollinatori selvatici. 

Insomma può aiutare gli esperti ad identificare prontamente la comparsa di nuove minacce o un eventuale inasprimento di quelle già presenti.

L’intento in sostanza è quello di arrivare ad elaborare strategie efficaci per assicurare l’impollinazione necessaria per la buona riuscita dei raccolti, senza andare a competere eccessivamente con le popolazioni di impollinatori selvatici.

La messa in atto di tali politiche così come vengono presentate da Geldmann porterebbe sicuramente a minori raccolti in termini di miele e ad un conseguente aumento del prezzo con tutte le problematiche ad esso legate. Insomma penso che prima di fare passi concreti in questo senso debbano esserci altri dati concreti sui quali basarsi per capire quale strada intraprendere.

E QUINDI CHE SI FA?

E’ più che lecito chiedersi a questo punto che cosa possa fare il singolo cittadino.

In un’area come Berlino dove abbiamo visto ci sono “troppi” alveari, la biodiversità può subire dei danni, perché si va a sottrarre del nettare prezioso per gli insetti selvatici. 

Per dirla in parole povere il cibo non potrebbe bastare per tutti, e quindi cosa si fa quando non c’è abbastanza cibo per tutti?

  • Si diminuisce la popolazione (evitando di saturare la zona con altre colonie di api da miele ad esempio). 
  • Si aumenta il cibo a disposizione.

Ma come si può fare?

I cittadini possono spingere gli amministratori locali a mantenere i parchi più “selvatici” durante tutto il ciclo di vita dell’insetto (evitando sfalci frequenti o immediatamente dopo la fioritura ad esempio) ed evitando l’utilizzo dei pesticidi, almeno al’interno dei parchi e delle aree pubbliche. Dovrebbe essere una pratica comune e di buon senso.

E se abbiamo un prato o del terreno a disposizione, possiamo fare lo stesso.

Insomma per quelli che, come me, quando vedono accostate le parole “troppe” e “api” storcono il naso, potrebbe essere una soluzione vincente. Non credete?

Come sempre in fondo a questo articolo trovate tutte le fonti per approfondire l’argomento.

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Luca


Fonti: