Miele di manuka: perché è considerato un miele “medico per eccellenza”? Quali sono le sue proprietà? Perché è così speciale? Questa è la seconda parte di una trilogia dedicata al “Miele in medicina“, così composta:

  1. La proprietà antibatterica: quali sono le caratteristiche che rendono il miele “antibatterico”?
  2. Il miele di manuka: perché è considerato il miele “medico per eccellenza”?
  3. Miele per uso medico: come si possono sfruttare le proprietà del miele in medicina.

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PRECISAZIONI

  • Il miele è un ALIMENTO, un cibo, un dolcificante, un ottimo accompagnamento a formaggi, dolci e molte altre preparazioni culinarie.
  • Con questo articolo non vogliamo supportare  l’impiego casalingo ad uso medico del miele di manuka né di altri mieli.
  • Lo scopo di questo articolo è informarvi su cosa sia il miele di manuka e quali siano le sue proprietà che lo rendono adatto ad un utilizzo medico.
IL MIELE NON VA INTESO COME UN SOSTITUTO AI FARMACI DATI IN PRESCRIZIONE DAL VOSTRO MEDICO, IN QUANTO NON E’ UN MEDICINALE.

 

Detto questo, procediamo pure!

DI QUALE PIANTA STIAMO PARLANDO?

Leptospermum è un genere di piante che appartiene alla famiglia delle Myrtaceae. Generalmente sono arbusti sempreverdi: la maggioranza delle specie sono endemiche dell’Australia ma alcune sono native di altre parti del mondo, tra cui la Nuova Zelanda e l’Asia sudorientale.

Manukaflowers.jpg
Fiore di Leptospermum scoparium
Di User:Gerald.wOpera propria di chi ha caricato in origine il file (Testo originale: 7 marzo 2005 (data di caricamento originaria)), CC BY-SA 3.0, Collegamento

 

Tra tutte le 80 specie di Leptospermum esistenti la più famosa è sicuramente il Leptospermum scoparium, che è molto comune prima di tutto in Nuova Zelanda, poi in Australia.

Il più celebre tra i molti nomi aborigeni di questa particolare pianta è mānuka, da cui il nome del miele, ma è conosciuta anche come tea tree neozelandese.

I Maori usavano questa pianta come alimento, medicina e fonte di legname. La gomma zuccherina prodotta dai rami giovani era una delizia e veniva data sia agli infanti come dolcetto, che agli adulti per alleviare la tosse. Il decotto di foglie o di corteccia di manuka poteva essere inalato, applicato come balsamo o ingerito.

Sembra che anche l’esploratore James Cook abbia usato il manuka, sia per farne del tè che come antiscorbutico per la produzione della birra medicinale.

 

E IL MIELE?

Negli ultimi anni si sente un gran parlare del miele di manuka, c’è chi dice che già gli aborigeni lo usassero nell’antichità… Ma non è assolutamente vero!

Il miele di manuka non è mai stato prodotto prima del 1839. Infatti fu durante questo anno che gli Europei introdussero le api da miele in Nuova Zelanda! Prima di quella data, infatti, nessuno conosceva questa pianta come nettarifera.

Il miele prodotto dal nettare del manuka ha un colore ambrato, talvolta anche scuro, ed ha proprietà tissotropica. Ciò significa che nel barattolo ha un aspetto quasi solido ma se lo agitiamo diventa sempre più fluido.

 

LA SCOPERTA DEL MIELE DI MANUKA

Nel mio precedente articolo vi ho parlato di come la proprietà antibatterica del miele derivi principalmente dall’azione del perossido di idrogeno, prodotto a seguito di diluizione, e di come questo venga distrutto dall’enzima catalase.

Quando in laboratorio si vuole comprendere se la capacità antibatterica di un miele sia proprio dovuta al perossido di idrogeno si aggiunge al miele l’enzima catalase e lo si testa contro uno o più batteri. Se la soluzione di miele non è più efficace, ne deriva che il perossido di idrogeno sia alla base della sua capacità antibatterica.

Negli anni ’80 questo stesso test venne effettuato sul miele di manuka. Gli scienziati scoprirono che, sebbene la catalase avesse distrutto tutta l’acqua ossigenata presente, il miele continuava ad essere efficace contro i batteri.

C’era quindi qualcos’altro che lo rendeva, per così dire, speciale. Dopo anni di ricerca si è infatti compreso che non è il nettare della pianta ad avere proprietà antibatteriche… Ma è qualcosa che accade dopo l’intervento dell’ape!

 

IL METILGLOSSALE

Come sappiamo l’ape raccoglie il nettare dal fiore e lo sistema nella borsa melaria. Una volta rientrata nell’alveare, passa il nettare ad una sua sorella (rigurgitandolo nella sua bocca, per capirsi), la quale a sua volta lo passerà ad un’altra ape e così via, per un gran numero di volte, finché non viene deposto nelle cellette di cera. E’ la cosiddetta trofallassi!

Durante questo processo il nettare si trasforma in miele: le api aggiungono molti elementi nella sostanza (enzimi, proteine, sali minerali etc). Il miele freschissimo di manuka contiene uno zucchero chiamato diidrossiacetone. Nel tempo questo zucchero reagisce con tutte le altre componenti implementate dall’ape si trasforma in metilglossale, che ha una forte attività antibatterica.

Quindi, si può affermare che:

  • più alta è la quantità di diidrossiacetone;
  • altrettanto alta saranno la quantità di metilglossale;
  • tanto metilglossale comporta un’alta potenza antibatterica del miele di manuka.

 

LE CARATTERISTICHE DEL METILGLOSSALE

Il metilglossale non è assolutamente affetto dall’azione della catalase, quindi non viene distrutto dall’interazione come accade all’acqua ossigenata. Vi ricordo che questo particolare enzima si trova nei tessuti umani, nella saliva e nel sangue. Quindi anche dopo la diluizione dovuta ai fluidi corporei, il metilglossale continua ad essere efficace (se la quantità è abbastanza elevata per combattere un determinato batterio, si intende).

Non è nemmeno suscettibile alle fonti di calore né alla luce, quindi l’immagazzinamento non influisce sulle proprietà del miele di manuka. Se ne deduce quindi che l’attività antibatterica del metilglossale sia alquanto stabile nel tempo, una volta che tutto il diidrossiacetone sia stato trasformato.

Come dicevo nel precedente articolo, il miele ha bisogno di essere diluito affinché si attivi la produzione di perossido di idrogeno. Questo non è altrettanto necessario per il miele di manuka, in quanto la sintesi del metilglossale avviene indipendentemente dalla diluizione. Anzi, l’attività antibatterica è addirittura potenziata quando non viene preventitamente diluito e può anche penetrare in profondità nei tessuti infetti.

 

SOLTANTO GRAZIE AL METIGLOSSALE?

Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi alla scoperta delle varie componenti che caratterizzano la proprietà antibatterica del miele di manuka, oltre al metilglossale. Al giorno d’oggi però gli scienziati non sono riusciti a dare a tutti loro una definizione ed un nome preciso.

Quel che comunque hanno scoperto è che l’azione del metilglossale, già di per sé molto forte, viene spesso ulteriormente potenziata da altre sostanze che lavorano in sinergia con esso, ma che purtroppo da sole non hanno alcuna attività antibatterica.

Una di queste sembra che sia la leptosin, un glicoside policiclico.

Sono presenti anche alcuni fenoli, i quali si rilevano soprattutto nei mieli molto scuri (come talvolta anche il manuka), anche se la loro quantità è generalmente troppo bassa per avere un qualche effetto in autonomia. E’ probabile però che agiscano in sinergia tra di loro e con le altre componenti.

Molte altre devono essere ancora scoperte, quindi aggiorneremo questo articolo non appena avremo dati in merito.

 

L’EFFICACIA DEL MIELE DI MANUKA

Anche il miele di manuka è stato testato in vitro per dimostrare la sua efficacia contro determinati batteri. In particolare gli scienziati hanno visto che ad ora non è stata riscontrata alcuna riduzione della sensibilità dei suddetti all’azione antibatterica del miele. Anche i tentativi di generare forme resistenti in laboratorio non ha avuto successo.

Sembra che il miele di manuka possa uccidere anche i batteri che vivono nei biofilm. Questa protezione li rende capaci di sopravvivere ad alcune cure farmacologiche ma questo particolare miele agisce in modo da interrompere questi aggregati di cellule, le uccide e ne previene anche la formazione.

Una tabella completa di tutte le specie di batteri che sono suscettibili all’azione del miele di manuka si trova all’interno di questo studio: Therapeutic Manuka Honey: No Longer So Alternative.

 

TUTTI I MIELE DI MANUKA SONO UGUALI?

Come potete immaginarvi la risposta è… No! Alcuni mieli di manuka non posseggono alcuna proprietà antibatterica, ad esclusione della pressione osmotica derivata dall’alto contenuto di zuccheri. Come abbiamo visto questa caratteristica non è abbastanza per renderli impiegabili in uso medico clinico.

Lo abbiamo visto nell’articolo precedente: il livello di attività antibatterica, anche quella non legata al perossido di idrogeno, varia molto da lotto a lotto di miele e viene misurata in comparazione con un antisettico standard, chiamato fenolo. Il punteggio va da 5 (l’equivalente di attività antibatterica ottenibile con una soluzione del 5% di fenolo) a più di 30.

miele di manuka

Miele di Manuka. (Foto di Ryan Merce,  www.ReadPlease.com, su Flickr, CC BY 2.0)

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Sono due le discriminanti importanti che vanno ad influire sulla proprietà antibatterica del miele di manuka:

  1. la varietà di Leptospermum bottinata delle api;
  2. la proporzione tra la quantità di miele derivato da nettare di Leptospermum rispetto a quello di altre piante.

I test effettuati su centinaia di campioni di miele di manuka provenienti da tutta la Nuova Zelanda hanno dimostrato che i migliori, vale a dire quelli con più attività antibatterica, provenivano dalle regioni di Waikato e del Northland, dove crescono prevalentemente le varietà scoparium, incanum e linifolium.

 

COME SI CERTIFICA IL MIELE DI MANUKA?

Generalmente per differenziare un miele di manuka con attività antibatterica da uno che non possiede questa proprietà, si usa il termine Active Manuka Honey (miele di manuka attivo).

Attualmente ci sono due metodi diversi per classificare il miele di manuka:

  • MGO: non è nient’altro che la sigla del metilglossale.
  • UMF®: Unique Manuka Factor, traducibile in fattore unico del manuka.

Se ci fate caso in vendita troverete mieli che contengono l’una o l’altra sigla, come potete vedere nelle immagini qui sotto.

 

L’etichetta MGO riporta quindi la quantità di metilglossale contenuta in quello specifico lotto di miele, misurata in milligrammi su kg.

La sigla UMF® è innanzitutto un marchio registrato della Unique Manuka Factor Honey Association (UMFHA) e viene assegnato ad un determinato lotto di miele a seguito di un test specifico che ricerca tre sostanze:

  • il metilglossale;
  • il diidrossidacetene;
  • la leptosperin.

Quest’ultima sostanza è un componente chimico che è unico del nettare e quindi del miele di manuka. E’ stabile nel tempo, non degrada.

Si potrebbe quasi affermare che la certificazione UMF® sia migliore del semplice quantitativo di metilglossale contenuto, perché i testi effettuati per ottenere questa etichetta vanno alla ricerca di altre molecole che sono uniche del miele di manuka, quali il diidrossiacetone e la leptosperin.

In altre parole, il simbolo UMF® certificherebbe che il miele sia autentico al 100%.

Allo stesso tempo ad un grado specifico di UMF® corrisponde una quantità precisa di metilglossale. Si parte da UMF® 5+, che corrisponde a 83 mg/kg di MGO per arrivare a UMF®  26+, che equivale a 1.282 mg/kg di MGO.

Se siete interessati, vi lascio il link con la tabella di comparazione tra MGO e UMF®, cliccate qui per vederla.

 

LE PROBLEMATICHE DEL MIELE DI MANUKA

Da tutto questo ne consegue che:

Più alto è il livello di UMF®, più alta sarà la capacità antibatterica del miele e maggiore sarà il prezzo finale del prodotto.

Si può arrivare fino anche a €200,00 per kg, talvolta anche di più, grazie alle strategie di marketing.

Quando si inizia a parlare di cifre astronomiche, bisogna anche iniziare a tenere sotto controllo il mercato allo scopo di scongiurare le compromissioni del prodotto.

Spesso infatti si sente parlare di partite di miele di manuka “adulterato”, a seguito sia dell’aggiunta di sostanze zuccherine (come lo sciroppo di riso), che di diidrossidacetone, che è già naturalmente presente in questo miele.

A che pro viene aggiunto il diidrossidacetone? Allo scopo di far sopravvalutare un lotto di miele che di per sé ne conterrebbe poco, e che quindi nel tempo genererebbe poco metilglossale. Ne abbiamo parlato in questo articolo intitolato “Miele falso: non solo sciroppi aggiunti“, pubblicato qualche tempo fa.

 

Bene, siamo arrivati alla fine! Ci vediamo la prossima settimana con la parte finale della trilogia dedicata al miele in medicina, dove faremo esempi pratici di uso clinico del nostro beneamato.

 

Apprezzerei molto vostri commenti e domande su questo articolo! Usate il box dedicato ai commenti per farmi sapere cosa ne pensate. Iscrivetevi al blog o alle nostre pagine Facebook, Twitter, YouTube ed Instagram per avere sempre aggiornamenti in tempo reale!

A presto!

Silvia


FONTI:

 

IMMAGINI:

  • Copertina: Originale di Ryan Merce,  www.ReadPlease.com, su Flickr, CC BY 2.0, rielaborata e distribuita dall’autore dell’articolo con licenza CC BY 2.0