Nel precedente articolo Silvia ci ha parlato del Mad Honey o “deli bal”, utilizzato in passato anche come arma da guerra, ma non è l’unico esempio nella storia in cui le api venivano utilizzate a questo scopo.In questo articolo vedremo alcuni episodi in cui si sono utilizzate le api in guerra, sia a scopo offensivo che a scopo difensivo.

Abbiamo parlato di questo articolo anche in formato podcast!

Ascolta “Api e miele: armi da guerra!” su Spreaker.

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LE ORIGINI

Pare che gli insetti siano i primi organismi viventi ad essere stati utilizzati dall’uomo come armi biologiche.

Si ipotizza infatti che i primissimi utilizzi degli insetti come armi incominciarono nel Paleolitico Superiore (oltre 10.000 anni fa). In quel periodo del resto gli umani passavano gran parte del loro tempo a lanciarsi cose fra loro, o le lanciavano ad altri animali per cacciarli.

Ma perché si lanciavano le cose?

Facciamo un passo indietro…

Uno dei fattori chiave del nostro successo come razza umana, va identificato nell’essere stati in grado di uccidere a distanza le nostre prede, attraverso il lancio di oggetti come pietre, o magari lance di varia fattura.

Il fatto di poterci mantenere a distanza ci ha permesso di procacciare cibo limitando il rischio di essere feriti o uccisi dalla nostra preda (nel caso di prede più grandi), o di riuscire a prenderla di sorpresa (nel caso di prede più piccole).

Dalle lance in legno e selce ai giavellotti, fino ad arrivare alle più recenti armi da fuoco, il principio generale delle armi a distanza è rimasto grossomodo invariato.

Un altro modo per uccidere prede (e non solo) a distanza è emerso con la nascita della domesticazione.

Si stima che il primo animale domesticato sia stato il cane, attorno al 15.000 AC.

Poi fu il turno di cavalli, cammelli, elefanti, e così via.

 

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Vaso (antica Grecia) ritraente una scena di caccia al cinghiale con l’ausilio di cani. Credito: Unknown author – British Museum, Public Domain, Link

 

Questi animali venivano comunemente utilizzati in guerra, ma avevano il “difetto” di disertare durante la battaglia, per via del loro istinto di conservazione.

Gli insetti sociali come le api, al contrario, si sono evoluti sviluppando una tendenza a difendere il superorganismo fino alla propria morte, se necessario.

Gli attacchi delle api operaie nei confronti dell’uomo infatti terminano sempre con l’eviscerazione.  Questo avviene perché il pungiglione, per via della sua conformazione, rimane agganciato alla pelle. Ed il pungiglione è attaccato sia alla sacca contenente il veleno che alle viscere dell’ape.

I nidi di api selvatiche erano piuttosto semplici da trovare in passato, ed avevano il vantaggio di essere delle granate d’api facilmente trasportabili.

Insomma un uomo primitivo con un buon braccio poteva lanciare facilmente uno di questi nidi (grandi più o meno come una palla da basket) alla sua preda o al suo avversario.

Ma non è tutto oro quel che luccica…

PROBLEMI LOGISTICI

In tempi antichi gli strateghi militari vedevano nelle api una vera e propria fonte d’ispirazione. E in effetti uno sciame formato da una moltitudine di piccole api (apis mellifera) era in grado di mettere in fuga un orso!

Questa immagine, molto evocativa, ricordava loro come una falange feroce e disciplinata potesse costringere un esercito molto più grande a battere in ritirata.

Le api del resto, per via del loro pungiglione col quale iniettano il veleno, sono in grado non solo di provocare dolori piuttosto acuti, ma anche di suscitare panico e paura. Insomma, quando decidono di difendersi possono arrecare un danno enorme, specialmente se paragonato alla loro piccolissima stazza.

 

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Ecco una delle scene tagliate dalla serie “Winnie the Pooh”. Credito: Jan van Kessel the Elderhttp://www.alaintruong.com/archives/2014/04/11/29641827.html, Public Domain, Link

 

C’era un problema però, ben presto si comprese che le api sul campo di battaglia non si curavano delle fazioni, bensì scatenavano il loro istinto difensivo sia verso gli “alleati” che verso i “nemici”.

Insomma, il cosiddetto “fuoco amico” era all’ordine del giorno!

Allo stesso modo però, era altrettanto vero che degli alveari lanciati nei punti giusti avrebbero potuto rompere un assedio e far scappare i nemici allo scoperto. Ma di questo parleremo più avanti.

 

GRANATE D’API

Inizialmente questi nidi contenenti api erano come una sorta di granata dentro ad una scatola da scarpe, non potevano essere lanciati molto lontano, e nel momento in cui “esplodevano” i proiettili (ovvero le api) schizzavano in ogni direzione.

Ciò che occorreva quindi era un modo per direzionare questi arpioni avvelenati a sei zampe verso il nemico e non verso sé stessi.

Per fare questo, nel mondo si sono sviluppati alcuni metodi piuttosto astuti.

I Tiv ad esempio, un gruppo etnolinguistico della Nigeria, sviluppò un cannone d’api, ovvero un corno molto lungo, appositamente sagomato.

Una volta caricate le api dentro al corno, questo veniva puntato verso il nemico.

Per via della forma e della lunghezza del corno, le api venivano a tutti gli effetti direzionate verso il nemico.

 

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Popolazione Tiv, il primo contatto con questa popolazione da parte degli europei risale al 1852. Credito: WilsesOwn work, CC BY-SA 4.0, Link

 

Anche i Maya utilizzavano le api (o le vespe) come armi. Il linguaggio Maya non faceva distinzione fra questi due insetti, per cui non abbiamo modo di sapere con precisione se si trattasse di api o di vespe.

In un testo di miti e leggende Maya, il Popol Vuh, si parla della costruzione di una sorta di manichini vestiti da guerrieri, opportunamente agghindati con copricapi, con lo scopo di celare sia il fatto che fossero manichini, sia il pericolo che risiedeva al loro interno.

Le teste di questi manichini infatti erano delle zucche vuote contenenti api o vespe.

Quando gli aggressori colpivano i manichini, gli insetti reagivano furiosamente. Questo metteva in fuga gli assalitori, permettendo così ai Maya di colpirli mentre scappavano in preda al panico.

Oltre a queste trappole ben congegnate, i testi antichi sembrano suggerire che i Maya utilizzassero gli insetti anche durante le battaglie.

Le descrizioni sono molto povere di dettagli, ma considerando le loro abilità nella lavorazione della ceramica è plausibile che si trattasse di delle vere e proprie granate d’api.

Più o meno nello stesso periodo, nel Medio Oriente si producevano contenitori abbastanza pesanti da essere lanciati, ma abbastanza fragili da rompersi al contatto col bersaglio.

In tempo di pace, questi contenitori venivano lasciati all’esterno in modo da permettere ad api e vespe di colonizzarli.

In tempo di guerra, all’occorrenza, queste piccole anfore venivano poi tappate per essere trasportate in battaglia.

L’utilizzo era piuttosto semplice, si lanciavano contro al nemico quando era con le spalle al muro, oppure venivano utilizzate tatticamente per manipolare il campo di battaglia.

 

SOTTO ASSEDIO

Se fino a questo momento il vantaggio pendeva dalla parte di chi attaccava utilizzando api o vespe, con l’arrivo delle città fortificate, il massimo vantaggio militare si spostò in favore di coloro che difendevano queste fortificazioni.

Gli assediati erano ora in grado di lanciare contrattacchi devastanti durante i periodi di assedio.

 

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Pare che dalle mura e dalle fortificazioni il lancio degli alveari fosse una strategia difensiva molto efficace. Credito: Jean ColombeAdam Bishop, copied from http://en.wikipedia.org/, Public Domain, Link

 

Immaginate di dover lanciare un vaso di terracotta oltre le mura di un castello (alte 9-10 metri) mentre da queste mura vi piovono non solo frecce, ma anche alveari pieni di api. Passereste come minimo una brutta giornata.

Enea Tattico, un inventore greco antico, autore di trattati in tema militare vissuto probabilmente nel IV secolo a.C. scrisse un manuale di circa 200 pagine su come sopravvivere agli assedi. Quando gli avversari oltrepassavano il tunnel delle mura cittadine, Enea suggerisce di “rilasciare vespe ed api nel tunnel per flagellare i nemici al suo interno”.

I romani subirono una sonora sconfitta nel 197  a.C. quando i cittadini di Hatra, (ora Iraq), usarono insetti contro le legioni dell’imperatore Settimio Severo. Nonostante non sia specificato se si trattasse di api o vespe, leggiamo:

costruirono delle anfore d’argilla riempite con insetti alati, piccole creature volanti velenose. Quando vennero scagliate contro i romani, gli insetti attaccarono gli occhi e tutte le parti del corpo non protette. arrivando senza essere notate, morsero e punsero i soldati.

 

Per secoli, le fortificazioni assediate in Europa arruolarono le api nel tentativo di respingere gli invasori.

Nel 908 d.C. gli abitanti di Chester, in Inghilterra, furono assaliti da un esercito di soldati Danesi e Norvegesi.

Poiché le fortificazioni risultavano impenetrabili, gli Scandinavi cercarono di indebolire le mura stesse.

Mentre i nemici scavavano, gli inglesi cercarono di dissuaderli lanciando rocce e massi, senza però avere successo.

Come ultimo tentativo, gli Inglesi raccolsero tutti gli alveari presenti dentro le fortificazioni e li lanciarono sugli avversari, riuscendo finalmente a metterli in fuga.

Più di 700 anni dopo, si configurò uno scenario molto simile, durante la Guerra dei Trent’anni.

Quando un generale Svedese guidò le sue truppe per assaltare la città fortificata di Kissingen, uno degli abitanti, Peter Heil, suggerì di lanciare alveari contro i nemici.

Al contrario dei Danesi e Norvegesi secoli prima, gli Svedesi erano però ben protetti da armature.

Ma non i loro cavalli.

 

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Lanciare alveari sui cavalli poteva rapidamente trasformare un assedio in un rodeo! Credito: Unknown author – St. Gallen, Stiftsbibliothek, Ms. Vad. 302 II, fol. 35v, 13th century manuscript, Public Domain, Link

 

Sotto l’attacco incessante delle api, i cavalli imbizzarriti andarono completamente nel panico, gettando la cavalleria nello scompiglio più totale.

 

ARCHITETTURA MILITARE

Questi metodi di difesa richiedevano che gli alveari fossero portati sulle mura per poi essere lanciati agli avversari.

Si trattava di una pratica molto scomoda, considerato sia il peso considerevole di questi alveari, sia il fatto che bisognava trasportarli mentre ci si trovava nel bel mezzo di una battaglia.

Fu così che nella progettazione di alcuni castelli si pensò di piazzare gli alveari direttamente sulle mura cittadine, dove avrebbero potuto assolvere ad un duplice scopo:

  • In tempo di pace avrebbero prodotto miele, cera e propoli.
  • In tempo di guerra avrebbero prodotto morte e scompiglio fra le fila nemiche.

Le mura di alcuni castelli medievali in Scozia, Inghilterra e Galles erano dotate di queste strutture, chiamate “bee boles”, una sorta di nicchie che divennero quindi case permanenti per le api.

 

bee boles api in guerra

Ecco un esempio di “bee boles”. Queste appartengono al Caister Castle, situato nella contea inglese di Norfolk – Credito: Evelyn SimakCaister Castle – bee boles – licensed for reuse under Creative Commons Licence

 

Solitamente queste strutture si trovavano nelle mura esposte a sud, in modo da favorire la sopravvivenza delle api durante gli inverni più rigidi, riparandole dai freddi venti del nord.

 

DOPO IL MEDIOEVO

Dopo il medioevo le tecniche ideate per utilizzare le api in guerra furono molto meno fantasiose, uno degli episodi più famosi risale al 1600.

Nella città di Wuppertal venne costruito un convento nel quale alcune suore praticavano l’arte dell’apicoltura.

Quando la comunità fu attaccata, le suore si rifiutarono di far entrare i saccheggiatori nel convento. Questi ultimi, per nulla intimiditi dalle suore, cercarono di entrare con la forza.

A quel punto le suore ribaltarono gli alveari dell’apiario per poi rifugiarsi dentro al convento, lasciando alle api l’incombenza di difendere il convento. E lo fecero.

beyenburg api in guerra

Suggestiva foto di Beyenburg ai giorni nostri – Credito: BeyenburgKlaus Ratzer – Public domain 

 

Da quel momento in poi, la città prese il nome di Beyenburg, ovvero “città delle api”, per onorare questi insetti che hanno (seppur involontariamente) difeso la città.

 

INVERSIONE DI TENDENZA

Anche se il lancio ed il rovesciamento degli alveari si sono rivelate strategie efficaci per respingere visitatori indesiderati, una grande novità in questo senso giunse con l’arrivo di macchinari capaci di letteralmente catapultare alveari fra le fila nemiche.

Questo nuovo sistema ribaltò di nuovo gli equilibri in favore delle forze attaccanti.

I primi macchinari per lanciare proiettili furono frutto del lavoro di Filippo II, padre di Alessandro Magno. Queste invenzioni funzionavano bene per sparare frecce, ma avevano il limite di non poter lanciare oggetti pesanti.

Quando gli ingegneri militari Greci rivoluzionarono questi sistemi, le armi da assedio medievali divennero in grado di lanciare più o meno qualsiasi cosa, insetti inclusi.

I Greci hanno inoltre fatto sì che gli insetti venissero legati a doppio filo con la parola “bombardare” che viene appunto da “bombos”, ovvero ape.

Anche se i Greci misero a punto questi macchinari, furono i romani ad essere i più ferventi lanciatori di api e vespe.

Considerando che all’epoca era molto più semplice reperire api che armamenti, l’abitudine di lanciare alveari con questi macchinari da assedio era talmente diffusa che il ben documentato declino del numero di alveari durante il tardo Impero Romano fu probabilmente una conseguenza dei frequentissimi lanci all’interno delle fortificazioni nemiche.

 

IL TERRORE ARRIVA DALL’ALTO

Il punto più alto (tecnologicamente parlando) venne toccato quando nel 14esimo secolo fu sviluppata l’equivalente della gatling gun per alveari.

Una sorta di mulino in grado di lanciare alveari di paglia a ripetizione attraverso dei bracci rotanti.

gatling bee api in guerra

Ecco una raffigurazione della gatling gun per alveari – Immagine tratta dalla copertina del libro “Bee Sieged – Bees in warfare (Ray Jones).

 

La possibilità di catapultare letteralmente le api sul nemico fu sfruttata anche in ambito navale, api e vespe vennero usate alla stregua dei proiettili nelle battaglie in mare aperto.

Dall’epoca greco-romana fino al medioevo, le navi da guerra caricavano abitualmente alveari come parte del proprio arsenale.

I corsari spagnoli stessi nel Mediterraneo utilizzavano alveari pieni di api per catturare le navi più grandi.

Le api inferocite in questi casi costringevano la ciurma a gettarsi in mare per sfuggire agli attacchi.

Le palle di cannone sostituirono rapidamente gli alveari, ciò nonostante le api continuarono per secoli ad essere saltuariamente utilizzate.

 

INCIDENTE DIPLOMATICO

Anche se le api, come abbiamo visto, furono in grado di metter fine a molti assedi e battaglie, in un’occasione una singola ape fu in grado di scatenare una guerra.

Nel 673 Congal, erede al trono di Ulster, si trovava in visita di stato dal re d’Irlanda, Domnall.

Il re Irlandese ospitò Congal con tutti gli onori del caso, ma commise un grave errore: calcolò male le distanze fra gli ospiti ed i suoi alveari.

Fu così che Congal ricevette una puntura all’occhio da parte di un’ape.

Per via della puntura Congal rimase cieco da un occhio, e questo gli valse il soprannome di Congal Càech (il cieco).

Questa cosa lo fece infuriare, e fu così che per placare l’affronto chiese che anche il figlio di Domnall venisse accecato allo stesso modo.

Il Re Domnall invece ordinò di distruggere l’intero alveare, in modo da essere sicuro che l’ape incriminata avrebbe pagato con la morte (evidentemente non sapeva che quell’ape in realtà era già morta).

Congral non accettò la situazione e fu così che decisero di risolvere la contesa sul campo di battaglia.

Purtroppo per Congral però, il suo esercito non era in grado di competere con quello del Re d’Irlanda, per cui andò incontro ad una sonora sconfitta.

Durante le crociate, quando i cristiani combatterono per bandire i musulmani da Gerusalemme, entrambe le fazioni usarono le api. Ad esempio nel 1908 gli abitanti musulmani di Maara utilizzarono pietre, alveari pieni di api, fuoco e calce viva nel tentativo di mettere in fuga i nemici cristiani.

Secondo le cronache del tempo, Riccardo Cuor di Leone portò in battaglia numerosi vasi contenenti api da utilizzare a scopo bellico.

 

L’EBREZZA DELLA BATTAGLIA

Ma le api ed in particolare il miele ebbero anche altri ruoli indiretti in guerra.

Mi riferisco all’Idromele.

Per chi non lo sapesse, l’idromele è una delle bevande alcoliche più antiche, se non la più antica. La si ottiene facendo fermentare una mistura di acqua e miele.

Si pensava che l’idromele, così come il miele, potesse vantare proprietà magiche.

 

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La leggenda ci racconta che Odino rubò ai giganti il sacro idromele che oltre a donargli la conoscenza delle rune, gli donò anche l’arte poetica. Si dice che versò parte di quell’idromele sulla Terra, elargendo agli esseri umani il dono inestimabile del canto. Credito: Pubblico dominio, Collegamento

 

Fra i Vichinghi l’idromele era largamente apprezzato.

Grandi quantità di questa bevanda venivano consumate subito prima della battaglia, per “darsi la carica“, ed era considerata tradizione versare dell’idromele in mare quando le navi vichinghe attraccavano al porto.

Tale usanza peraltro è riscontrabile anche nella mitologia greca.

Non solo i Vichinghi, ma anche i Celti tracannavano grandissime quantità di idromele, sia dalle corna degli animali che da boccali formati da teschi umani, subito prima di andare in battaglia.

Ma in numerose occasioni l’idromele ha accompagnato i soldati in guerra, durante la guerra di Crimea ad esempio vennero registrate lamentele da parte della British Army per un’eccessiva diluizione del loro idromele.

 

LA GUERRA AI GIORNI NOSTRI

Nei secoli più recenti armi ben più efficaci vennero fuori, quindi le segnalazioni dell’utilizzo delle api in guerra andarono a scemare sempre di più.

Ciò nonostante non sparirono del tutto.

Nella Prima Guerra Mondiale, le truppe britanniche e tedesche in battaglia sul suolo Africano, subirono più volte l’attacco di alveari selvatici (le api africane rispondono più prontamente ed in maniera molto potente ai disturbi).

Tale propensione alla difesa venne sfruttata dai tedeschi per realizzare delle trappole fissando dei cavi sottili agli alveari, in modo da agitare le api e mandarle verso il bersaglio, qualora un soldato britannico fosse inciampato in uno di questi cavi.

Nel 1914 il Times descrisse queste trappole come “dispositivi diabolici” che i tedeschi incorporavano nei loro sistemi di difesa.

Nella guerra d’Etiopia, i patrioti etiopi lanciarono alveari sui carri armati di Mussolini nel 1935 e 1936, riuscendo a spaventare i guidatori e causando incidenti.

Anche durante la Guerra Civile americana le api fanno la loro comparsa.

Un’armata di nordisti si trovava ad attraversare un campo in cui era posizionata una lunga fila di alveari. Ad un tratto uno sparo in corrispondenza degli alveari destò le api, creando uno scompiglio generale. Ci volle parecchio tempo per riorganizzare il reggimento e serrare nuovamente le fila.

Durante la Guerra del Vietnam (1965-1975) vennero posizionati degli alveari trappola in dei punti di passaggio obbligati.

Della carta adesiva manteneva chiusa l’uscita dell’alveare ed era collegata ad un filo che veniva tirato qualora ci fosse inciampato qualcuno.

Numerosi furono gli incidenti riportati durante i quali i soldati americani si trovarono costretti a darsela a gambe e a trascinare via i soldati colpiti in maniera più grave.

 

UNA MORTE “INEBRIANTE”

In conclusione, l’idromele fu curiosamente legato alla morte del Re Hunding di Svezia, profondamente legato da una forte amicizia con il Re Hading della Danimarca.

La pace fra questi due uomini era talmente inviolabile da non poter essere messa in discussione. Entrambi vedevano come un vantaggio la difesa dei reciproci interessi, dell’onore, della tranquillità, della dignità e dell’autorità.

Iniziò a circolare però una falsa notizia, secondo la quale Hading era rimasto ucciso a seguito di un’imboscata da parte del figliastro Guthorm.

Quando Hunding apprese la triste notizia, volle dimostrare alle generazioni successive che valori come l’amicizia e l’onore valgono più della stessa vita.

Fu così che radunò tutta la nobiltà del regno ed organizzò uno splendido banchetto, per rendere omaggio all’amico scomparso.

Ordinò inoltre di portare al centro del salone un’enorme vasca riempita con dell’idromele. Il Re assolse il ruolo di coppiere, offrì da bere a tutti, fin quando gli ospiti non furono sazi e mezzi ubriachi.

A quel punto si tuffò di testa nella vasca d’idromele, morendo per dimostrare la fedeltà e la forte amicizia che lo legava all’amico (che credeva erroneamente scomparso).

Come vediamo, anche la storia ci insegna che la piaga delle fake news miete vittime già da tempo immemore.

Ah, se ve lo state chiedendo, pare che Re Hading non ricambiò il favore del tuffo nell’idromele.

A buon intenditor…

Apprezzerei molto vostri commenti e domande su questo articolo! Usate il box dedicato ai commenti per farmi sapere cosa ne pensate. Iscrivetevi al blog o alle nostre pagine Facebook, TwitterYouTube ed Instagram per avere sempre aggiornamenti in tempo reale!

A presto!

Luca


 

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